Maria Di Carlo

IL MAGGIO FU FRANCESE

RIVOLUZIONE CULTURALE A CORLEONE

di Graziella Proto - n. 24 Casablanca


Maria aveva appena quindici anni e non accettava divieti e proibizioni: il padre la picchia e la chiude in casa, i frati francescani dicono che è indemoniata. Ama il “frocio “ del paese, Nino Gennaro, un appestato da evitare che metteva strane idee in testa ai ragazzi: la libertà, l’uguaglianza, la differenza, la mafia. Uno strano intellettuale. Maria Di Carlo ha capito che è affine a lui. Si batterà per essere se stessa, senza ipocrisie. L’amore per Nino sarà solo uno strumento, uno stimolo in più per realizzare la sua libertà. Una vita costellata da lotte, teatro, impegno sociale e tanto amore.

Una vecchia stradina quasi angusta, caratteristica. A un estremo un archetto che unisce i due lati della strada, alla’altro delle vecchie e antiche mura. Fra le case che sembra debbano cadere da un momento all’altro, un palazzotto tardo ottocento apparentemente insignificante, fatiscente appoggiato alle vecchie mura. In questo palazzotto, trenta anni fa circa, è nata una specie di comune formata da dieci giovani che facevano i conti con la precarietà e la sopravvivenza quotidiana. Erano marziani? Erano libertini? Intellettuali strani? Erano persone provenienti da realtà, culture, mestieri differenti. I protagonisti del Teatro Madre, ideato e pensato da Nino Gennaro, un intellettuale siciliano eclettico. Un poeta non allineato, dalla coscienza civile scomoda. Un politico di strada. Attore, regista. Un omosessuale o bisessuale. Qui vive ancora la donna che fu sua compagna di vita e di lotta. La sua discepola prediletta. La sua ispiratrice.
Una scala stretta e ripida. Interminabile. Alla sommità della scala s’intravvede un aggrovigliamento immenso e scuro. Si presuppone di capelli. Visto da vicino un cespuglio nero è fatto di riccioli dispettosi, disordinati, ribelli. Ognuno deciso a non seguire l’altro. Ognuno per la sua strada. Lo strano cespuglio ci attende gioiosamente in cima, all’ingresso dell’ultimo piano. Non ricordo bene l’ingresso, perché subito si passò in uno spazio che non saprei definire. Un piccolo salone? Un vasto corridoio? Poco importa. La luminosità, una luce che arriva dalle vetrate di un terrazzo non particolarmente curato, non pieno di piante esotiche straordinarie o particolari, subito ti colpisce. Il pavimento non è ricoperto dalle solite mattonelle, forse vetro o forse no, ma i raggi che vi arrivano sopra ne riflettono il colore, si mischiano. Quella luce intanto ti avvolge. Ti distrae. Un ambiente bizzarro e accogliente. Affascinante. Anche le altre stanze emanano lo stesso sentire. Spazi suggestivi senza che ci sia qualcosa di particolare. Di costoso. Di pregiato. Anzi la nostra ospite si prodigherà a spiegarci che in quella casa tutto è riciclato. Ogni oggetto, trovato o donato ha una sua storia precisa. Tutto, sembra essersi fermato agli anni settanta. Quella è l’atmosfera che si respira. Le librerie metalliche rosse, i poster dei rivoluzionari, le vecchie poltrone trafugate nelle case delle nonne. Ci si trova immersi in un’atmosfera intrigante e coinvolgente. Ci mettiamo nello studio. Una specie di santuario. La poltrona di Nino vicino ai vetri che danno sul terrazzo, l’unica parete non coperta dalle librerie è piena di locandine dei suoi spettacoli, i suoi lavori, sue foto.

Quel cespuglio irto, ribelle e selvaggio ha una faccia deliziosa e un nome Maria.
Maria Di Carlo è un fiume straripante. Ascoltarla è bello, perché mentre parla, si muove, cammina, ride, gesticola, a volte recita, non per mistificare, ma per passione, partecipazione al ricordo. A diciassette anni divenne famosa perché a Corleone, denunciò il padre che la privava della libertà di frequentare il ragazzo che le piaceva e i frati francescani del rinnovamento per averla sottoposta all’esorcismo. Mentre osserviamo per capirne di più inizia a parlare. “Qui con Nino siamo stati diciotto anni. Abbiamo vissuto nella stessa casa fino alla fine. Non in senso coppia. Negli ultimi anni avevo già l’attuale compagno, anche lui Nino. La vita di coppia era già finita ma, in realtà non finisce, si trasforma, sfuma in qualcosa di più, di meglio. Lo reputo il mio partner per antonomasia. E’ stata la persona con cui ho condiviso maggiormente il senso di complicità. Quando è morto, avevo trentasei anni.
Nel 1980, in questa casa, Nino Gennaro creò il gruppo “Teatro Madre”, dal nome di una sua opera: Una compagnia di non attori, un teatro insolito, povero e senza mezzi. La scena? Piazze, università, case. Tutti luoghi in cui si potevano svolgere dibattiti e momenti di comunicazione. Maria ne è l’interprete. Anche lui recita.

COMPAGNA DI VITA E DI LOTTA

Nino Gennaro è stato un attivista nella lotta alla mafia per i diritti sociali, per la libertà, per la diversità. Poeta e drammaturgo. Era un bisessuale ed ha vissuto in tempi di forte arretratezza culturale soprattutto nell’entroterra siciliano, a Corleone, feudo di Luciano Liggio. La sua personalità dirompente, poliedrica e pirotecnica affascinava i giovani di Corleone, ne faceva un educatore di strada, ma, agli occhi dei genitori era un frocio pericoloso che plagiava i loro figli.
“ L’aspetto eterosessuale era quello predominante. Più profondo. In lui c’era anche l’altra dimensione. Nino non sottaceva, la viveva e basta. Per me era come un punto a suo favore. Nino rispetto agli altri aveva una marcia in più”.
Fra il 1974 e il 1975, a Corleone, per i ragazzi la vita è dura. Maria, figlia di medico e studente ginnasiale fa parte dell’azione cattolica, frequenta corsi di teologia, fa catechismo ai piccoli, insomma una signorina di buona famiglia. Partecipa a una specie di rinnovamento religioso gestito dai frati francescani che avevano occupato il vecchio carcere borbonico e lo avevano riadattato. Erano diversi dai nostri preti, vestivano sempre con la stessa tonaca, camminavano estate e inverno con i sandali o a piedi nudi, predicavano la povertà, vivevano della carità della gente. Per i ragazzi erano molto affascinanti. I frati, in quel tempo organizzavano anche il cosiddetto Cursiglio d’importazione spagnola. Era una tre giorni di liturgie, preghiere e giaculatorie per sposi, per fidanzati, per ragazzi. La ragazza partecipa anche al Cursiglio, ma alla fine, a differenze di tutti gli altri, ne esce diffidente. Tuttavia, ha un bellissimo rapporto con Fra Cristoforo, molto amato dai giovani attratti oltre che dalla sua retorica, dalla sua tonaca piena di pezze. Toppe coloratissime.
Nella Corleone di allora Maria teorizza la libertà di costumi, libertà sessuale, sesso prima del matrimonio. Solo teoria, la pratica era diversa. Aveva circa quindici anni, nelle scuole di Corleone le classi miste erano appena nate, in aula prima entravano le femmine e poi i maschi. Rispetto alle altre era un poco più libera. La domenica andava alle baracche, teneva i bimbi dei baraccati per farli partecipare alla messa.
“Non avevo alternative. Pensavo che a Corleone non esistesse altro. Ero ignorante perché non passava nulla”. Una situazione intellettuale e culturale soffocante.
Anche a scuola una serie di episodi rende il clima pesante. I ragazzi protestano e trasgrediscono?. I genitori si mettono d’accordo per tenerli più repressi. I ragazzi si ribellano Una specie di corpo a corpo per i ragazzi, da un lato con genitori e dall’altro con professori. Succede che a un cineforum proiettano “Romanzo popolare”, alla fine una professoressa attacca il film come scandaloso e pornografico. ” Per la prima volta in vita mia prendo la parola in pubblico. Con la gola strozzata e la voce tremolante faccio un intervento nevrotico in cui sostengo che per me non lo era per niente anzi lo trovavo interessante. Aggiungo, che a Corleone i ragazzi eravamo sotto una cappa mortifera insopportabile e che noi volevamo contaminarci. Alla fine, in un crescendo isterico ci infilai il mio discorso tipico dell’epoca, cioè i rapporti prematrimoniali sono una cosa sacro santa e se questo significava essere puttane ebbene sì, io ero felice di essere una puttana. Un putiferio. Questa cosa in pochi minuti fa il giro del paese e all’uscita del cinema mi viene incontro Nino Gennaro cui hanno già raccontato e mi dice che mi vuole conoscere e che mi manderà un suo libro di poesie. Me lo porterà Giovanna una sua amica che diventerà anche mia e che sarà la prima abitante di questa casa. Il titolo del libro è strano e lunghissimo. Folle. “Il Maggio fu francese, rivoluzione culturale meridionale, A ognuno il suo Vietnam, super show per persone intelligentissime, a Luciano Liggio che ha ammazzato Michele Navarra … “ Lo lessi immediatamente. Capivo, non capivo, non so cosa capivo, ma, era una sferzata. Scopro che a Corleone esisteva dell’altro, che c’erano persone molto interessanti che potevo conoscere”. Un’onda oceanica.
Non tutti la pensano come Nino. Il padre di Maria va su tutte le furie. Ha una figlia perversa? E poi che figura ci fa con gli altri? Iniziano le repressioni e le punizioni.

L’ESORCISMO

La ragazza è una cattolica praticante, eccentrica, come l’idea che ha della confessione, non pentimento ma confronto. Succede così che durante un confronto-confessione con fra Cristoforo suo padre spirituale, gli dice dell’assemblea e delle sue idee di libertà. “Tu sei fuori strada, mi dice Fra Cristoro, tu non lo puoi fare, è assolutamente sbagliato – per poi aggiungere - Io questa notte ho avuto un incontro col demonio che mi ha buttato giù dal letto tanto che ho dovuto dormire ai piedi del tabernacolo. Adesso in te vedo la personificazione del maligno … ti vuoi sottoporre all’esorcismo. Sei troppo sbagliata figliola”
Maria ha visto il film, l’esorcista, cosa le potrebbe accadere? Pensa, al massimo vomito, quindi la curiosità, i quindici anni, il dubbio che forse è sbagliata veramente, anzi indemoniata, la consegna di non parlarne con nessuno, accetta.
***
“Cristoforo raduna tutti gli altri ragazzi in una stanza a pregare, loro non sanno cosa sta succedendo, sanno che c’è bisogno delle loro preghiere. Nell’altra stanza inizia il rito. Il frate mi dice di inginocchiarmi, io mi rifiuto. Comincia a leggere preghiere di San Lorenzo, mostra le ginocchia callose per tutto il tempo in cui sta inginocchiato in preghiere, mi chiede di baciargli forse il cordone o la mano non ricordo perché ridacchiavo, insomma manifestavo tanti segni di non pentimento e disturbanti. Non mi dà l’assoluzione. Alla fine mi vieta categoricamente di parlarne con gli altri. Non ne parlerò. Per circa un anno e mezzo, continuerò a frequentare il gruppo, mi confesserò con altri frati. Non mi daranno l’assoluzione. Mancava il pentimento”. Pentirsi di che?

L’INCONTRO CON NINO GENNARO

Non c’è dubbio, Nino Gennaro è stato un portatore di innovazione a Corleone. Con un finanziamento dell’allora Psi, aveva creato la sede della Federazione Giovanile Socialista, un posto, dove i ragazzi trovavano di tutto, Bibbia, Reich, Famiglia Cristiana, Manifesto, L’Ora, fumetti, contro l’aborto di classe e tanto altro. A Corleone esisteva una sola libreria, lui metteva a disposizione di chi volesse leggere, tutto quel materiale, per far vedere che non esiste un modo solo di pensare e di vedere le cose. Il suo obiettivo era quello di combattere l’idea di un pensiero unico, di far aprire il paese che era chiuso in se stesso. Un’oasi incontaminabile come sosteneva il preside.
La sede della FSG, era un posto in cui si ritrovavano persone che mai si sarebbero potute incontrare; muratori, elettricisti, studenti. Tutti convogliati da Nino, dal suo modo di fare pirotecnico. Era brillante, buffo, divertente. Uno che passava notti intere con giovani operai a parlare di sindacato e diritti. Vivace e affascinante. Non era un grigio e serioso funzionario di partito. Quasi tutti i ragazzi frequentavano la sede FGS di nascosto alle loro famiglie, entravano e uscivano dalla sede come fosse una catacomba. Un periodo di grandi apprendimenti per loro. Riunioni, dibattiti, riflessioni. Non esiste il monopolio del pensiero, tu fatti il tuo. Ed ancora, A Corleone non siamo tutti gregari di Liggio. Maria ne era molto affascinata.
Quando il psi gli tolse il finanziamento perché non gli interessava quel tipo di lavoro che non gli portava voti, crearono il centro di aggregazione popolare Placido Rizzotto. Dove Maria non andò mai perché nel frattempo a casa sua, con suo padre succedeva il cataclisma.
“Su suggerimento di Nino nel 1975 abbiamo festeggiato l’8 marzo. Partecipammo in quattro. Io e una mia compagna avevamo scritto un libriccino ciclostilato – Alternativa -in cui raccontavamo della nostra situazione a Corleone, fatta di repressioni e restrizioni. Naturalmente non abbiamo firmato gli articoli con nostri nomi, ma con pseudonimi. I miei mi scoprirono e a casa mi fecero un cazziatone. Cominciarono le botte. Mio fratello che assieme a me frequentava il gruppo, batté subito in ritirata. Mia madre non condivideva mio padre ma, non aveva il coraggio di opporvisi”. Lei non si arrende.
“Nino per il paese era il frocio. Era un pervertito, una persona da non frequentare. Da isolare. Una persona proibita. A distanza di tanti anni quando parliamo di quest’argomento con gli amici di allora, concordiamo sul fatto che l’omosessualità di Nino, fra noi non veniva fuori perché non era smaccata, non era esibita. Lo sapevamo perché lo dicevano gli altri. In paese sicuramente non era una sua pratica, in ogni modo era una persona molto proibita. Ci si frequentava di nascosto. In un crescendo di repressione i vari padri si coalizzano per non farci vedere più .Insomma ci separano. Non solo. Mio padre per piegarmi mi ritira dalla scuola. Subito i professori intervengono perché ero brava. Ritorno a scuola ma, a ogni piccola cosa mi ritira nuovamente. Ogni occasione era un pretesto per ribadire chi comandava e chi doveva ubbidire. Una volta partecipai assieme a due mie compagne allo sciopero dei braccianti. Non so il perché o le ragioni, percepivo solo che volevo stare dalla parte dei più deboli e per me in quel momento loro lo erano. Tranne noi tre ragazzine, era una folla di soli uomini. Cosa ricordo? Tante cacche di vacca. Conseguenze? Legnate. Ritiro dalla scuola. Chiuse, isolate a casa. Niente telefono. Per mesi con Nino non ci si vede. Io in pratica sono segregata. Inoltre, mio padre aveva chiesto al preside di non farmi uscire durante l’intervallo. Pianti e disperazione da parte mia che accusai anche il preside di rendersi complice di questa mia situazione famigliare. Ero disperata, ma non mollavo. Buscavo legnate e meditavo vendetta”
Per tentare di ammorbidire il padre, la ragazza tenta di parlare con padre Umile, uno dei francescani, ma con il monaco, non si capiscono proprio. La pensa come il genitore, le dice che è sbagliata, che la deve smettere. A questo punto la giovane arrabbiata gli racconta dell’esorcismo minacciando di svergognarli con tutto il mondo. Maria è esasperata. Ha già compiuto diciassette anni.

IL VOLANTINO

“Un giorno mentre stavo per andare a scuola, arriva mio padre con un volantino in mano in cui c’era una vignetta che raffigurava lui a braccetto col preside ed io racchiusa in una gabbia. “Lo sa i che a scuola fanno queste cose?” “ Sì e me ne compiaccio”. Reazione immaginabile. Mi dà una scarica di legnatone e dopo esce da casa. Io eludo la sorveglianza di mia madre. Ed esco a ruota. Vado da una mia vicina e le chiedo di accompagnarmi al commissariato perché voglio denunciare mio padre. La signora si limita a fare giri a vuoto in macchina pensando che io mi distraessi e ci ripensassi. Mi accorgo di ciò e ancora più arrabbiata scendo dalla macchina.
Per strada incontro due miei amici, con loro vado al centro Placido Rizzotto e lì, incontro Nino che non vedevo da mesi. Cerca di farmi ragionare, riflettere sulle conseguenze e nel frattempo scrive e disegna qualcosa. Ma io sono su tutte le furie, non voglio sentire ragioni, con i due amici vado al commissariato. Loro sono figli di due marescialli, mi accompagnano e se ne vanno. I loro padri sono sulla stessa lunghezza d’onda del mio e quindi non fanno altro che telefonare a casa mia per rassicurare lui e mia madre, - dottore, non è successo niente … fra poco la condurranno a casa …
- ma dovete verbalizzare - urlo indispettita! Loro non mi davano conto. Arriva la telefonata di un giornalista de L’ORA, Giuseppe Cerasa che dice maresciallo, so che da voi c’è Maria Di Carlo che sta denunciando suo padre cosa sta succedendo? E a questo punto hanno dovuto verbalizzare. Nel frattempo Nino arriva alla scuola, i ragazzi non sono ancora entrati e li avvisa che io ero al commissariato. La lasciamo sola? Volete fare scuola? Bisogna fare un’assemblea. Una professoressa con la sua scolaresca arriva al commissariato per testimoniare a mio favore”.
Esce sul giornale. Notizia per telegiornali. L’insegnante avrà problemi penali perché aveva portato i ragazzi in commissariato senza autorizzazione. Maria e Nino diventano protagonisti di trasmissioni radiofoniche e televisive. Roba da prima pagina. Esperti che si confrontavano sul tema. Il paese pieno di giornalisti.
“Quando pensai di denunciare mio padre non pensavo ad una vera e propria denuncia, con le conseguenze che ci sono state, pensavo ad una tiratina di orecchie. Invece la situazione mi sfuggì di mano”. Per mesi vive in isolamento fuori paese. Era la plagiata della situazione. “Mi trattavano bene, ma, m’impedivano di campare”.

LA MALATTIA DI NINO

“L’ AIDS è una malattia infamante. Una malattia il cui immaginario è legato a sesso diffuso e uso di droga. Nino non ha mai fatto uso di droghe. All’inizio, quando seppe della sua malattia, andò via da questa casa, non voleva vedere nessuno, non voleva parlare con nessuno. Erano anni in cui di ADS si moriva. Non ci si curava bene o male come ci si cura oggi. Anche noi, tutti quelli che gli stavamo vicino al principio ci lasciammo sopraffare dalla notizia. Poi ci fu un periodo di organizzazione. Nino avrà un recupero meraviglioso e vivrà questa sua malattia preparandosi alla morte, vivendo in modo più intenso possibile. Non chiudendosi. Facendo tante cose come sempre”. Ha vissuto la malattia e l’attesa della morte in modo collettivo.
Nella casa aperta quindi, l’attività e il fermento continua. Attorno a Nino arrivano amici da ogni parte. Chi lavava, chi cucinava, chi gli faceva la rassegna stampa.
Nella loro storia d’amore e di politica era prevista una trasformazione, una evoluzione, ma, non ci poteva essere alcuna rottura. Infatti, continueranno a vivere nella stessa casa, faranno le cose di sempre da soli o assieme agli altri dieci. Teatro, politica, volontariato. Avevano creato associazioni, gruppi culturali, il centro sociale San Saverio, Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione, per dirne solo alcuni. Il loro rapporto complesso e complicato ora, era una grande, intensa sintonia e complicità. Fino all’ultimo momento. Era il settembre del 1995.
Se la giovane Maria non avesse incontrato Nino?
“Quando ci siamo conosciuti già eravamo due persone affini. In lui ho riconosciuto l’anima gemella. Non sono una sua creazione”.

Brava Maria.

IL PROCESSO

Tuttavia l’atmosfera era pesante, la situazione grave, specialmente per il dott. Di Carlo. Durante l’istruttoria erano venuti fuori i lividi dell’ultima legnata. Alle perizie seguono le controperizie. Un balletto di perizie. La situazione è incontrollabile.
Era ancora una ragazzina minorenne. Al processo la parte civile dovrebbero essere i genitori, ma il padre era l’accusato e la mamma non lo volle fare. Quindi non c’era avvocato accusatore. Il dott. Di Carlo invece aveva due avvocati. Due principi del foro. L’avvocato Triolo che morirà ammazzato a Corleone, l’avv. Campo che difendeva i mafiosi. Il processo è fissato per la settimana successiva alla chiusura della scuola. Al processo uno dei due legali impronta la difesa sul fatto che Nino Gennaro è omosessuale, quindi un malato, come tale da curare. Anzi, aggiunge l’altro, è bisessuale, quindi un vizioso. Usava droghe. Organizzava orge e festini, ha plagiato una ragazzina diciassettenne, deve essere punito. Il procuratore del Tribunale dei Minori è Giacomo Conte socio fondatore di quello che poi diventerà il Centro Impastato, deciderà che c’è stato abuso di metodi educativi e lesioni. Pertanto sarà il genitore a essere condannato: un mese di reclusione con la conseguente perdita della patria potestà. Un fatto solo simbolico perché dopo una settimana Maria avrebbe compiuto diciotto anni e sarebbe diventata maggiorenne.
A casa c’era il lutto. Centinaia di visite in omaggio al capo famiglia. Una specie di cordoglio al padre. Alla ragazza sarà proibito pranzare a tavola con il resto della famiglia. Comunque la giovane Maria si incontra il suo Nino, senza che il padre le dicesse nulla. Non poteva. Tuttavia alla presenza di ospiti, tenterà di lanciarle una bottiglia.
Un giorno in pieno centro di Corleone Nino è circondato da un gruppo di giovinastri che tentano di caricarlo in macchina. Comincia ad avere telefonate minatorie. Si trasferisce definitivamente a Palermo, dove stava durante i mesi del processo.
Dopo una settimana che ha compiuto diciotto anni anche Maria, si trasferisce a Palermo.
“Non c’è nessuna certezza. Cosa farò, dove vivrò, con chi vivrò. Con Nino non avevamo deciso nulla. Insomma una cosa molto anomala”. Erano diventati un caso famoso, tutti li cercavano. “Non abbiamo avuto difficoltà che ci ospitassero. Per molto tempo abitammo alla Vucceria. All’inizio, anche in questa casa fummo ospitati, poi, si liberò una stanza e la prendemmo noi. Ci abitava già Giusi Gennaro, Giovanna ed altri amici , finimmo col restare. Ed è diventata la nostra casa. Scherzosamente chiamavo Nino fufo, dal 79 questa fu la casa dei fufi”.
Abbandonò gli studi e lavorò da subito. La giornata tipo di Maria ragazza bene di Corleone, figlia di medico, che era cresciuta con la cameriera prevedeva tanto lavoro. Cameriera, bambinaia, insomma quello che capitava. “I miei mi avrebbero mantenuto anche all’estero, se avessi rinunciato a quel rovina famiglie di Nino. Cosa improponibile e inaccettabile. La rottura con mio padre comunque era iniziata prima che nella mia vita arrivasse Nino. Non sopportavo divieti e proibizioni”
Hanno rapporti e contatti con gruppi, centri sociali, associazioni, ovunque c’era materiale umano con cui innestarsi. Erano sempre in giro, ma c’erano anche i momenti di casa scuola, teatro, letture, riflessioni. Senza tv. Si cucinava e si stava assieme.
Rimpianti? No. Sono state cose molto sofferte. C’è stato tanto dolore Mia madre per vedermi veniva nel posto, dove io lavoravo di nascosto a mio padre. Cinque minuti e via. Morirà per questo, e con questo dolore. Per la situazione dell’epoca, non potevo fare che le cose che ho fatto. O ti adagiavi o ti ribellavi. Ne è valsa la pena, ho avuto la possibilità di vivere con Nino, una vita intensa, particolare. Non è stata solo una storia di amore, ho vissuto con Nino a 360 gradi”.

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