Graziella Proto
n. 25 LeSiciliane
Il contesto è quello del dopo terremoto del 1968 che in Sicilia ha distrutto la valle del Belice. Nella zona interessata fiumi di stanziamenti sono arrivati per ricostruire i paesi, ma buona parte di essi scompare in mille rivoli. Partanna da centro di pastori si è trasformata in centro di traffici di droga e armi. Rapporti loschi per mantenere il potere. Cinquecento mila lire per uccidere una persona. Alla fine del 1991 quando inizia a collaborare Rita Atria ha diciassette anni. Una picciridda. Ha perso il padre e il fratello all’interno di faide e logiche mafiose. E per vendetta ha deciso di raccontare tutto a Paolo Borsellino.
“Questa è una storia crudele raccontata da persone che si sono volute ribellare e che non sono imputate né in questo né in altri processi. Un fatto nuovo rispetto ad altre vicende di mafia” disse irritata Lina Tosi – l’accusa. L’inchiesta ruota attorno alla guerra tra i clan Accardo e Ingoglia di Partanna. Una faida micidiale che vede coinvolto anche il deputato DC Vincenzo Culicchia, accusato di associazione mafiosa e concorso in omicidio (poi assolto). Ad accusarlo molte delle rivelazioni di Rita Atria e Piera Aiello.
Una ragazza siciliana: Minuta, piccolina, un bel viso ovale, occhi neri, capelli castani. Gracile ma tanto forte. E’ la fine del 1991.Rita aveva incontrato il magistrato Paolo Borsellino un uomo buono dal sorriso dolce, e lei parla, parla…racconta fatti. Fa nomi. Coraggiosa.
“Rita, non t'immischiare, non fare fesserie” le aveva detto ripetutamente la madre che, ancora non sapeva della sua collaborazione, ma, quel magistrato alla ragazza sembrava un papà, i loro incontri non erano tanto formali, erano fatti di baci e abbracci. Tanta tenerezza. Per Rita, raccontare, ricostruire, anche cose successe quando era molto piccola è facile. “ consentendo una ricostruzione ancora più precisa e approfondita del fenomeno mafioso partannese… benché minorenne mostrava immediatamente agli inquirenti grande determinazione nel collaborare con la Giustizia…” (Procura della Repubblica di Marsala 4 marzo 1992 firmata da Paolo Borsellino e dal sostituto Procuratore della Repubblica Alessandra Camassa). La stessa Piera Aiello si legge, apprendendo della collaborazione della cognata Rita si sente incoraggiata e si aprirà di più. Approfondirà alcune precedenti dichiarazioni.
Piccola grande Rita. Sensibile all'inverosimile, eppur ostinata, caparbia, dimostra di essere molto dura ed autonoma fin dall'adolescenza. A casa sua, faide, ragionamenti, strategie, vecchi rancori, interessi di ogni tipo, erano all'ordine del giorno, lei assisteva, ascoltava, osservava.
Nessuno si preoccupava di salvaguardare la sua adolescenza, Figlia e sorella di personaggi perfettamente inseriti nella mafia locale cresce in quegli ambienti.
Rita pur piccola è una spugna.
Gli amici dell’adolescenza?
Saranno anche loro di quell’ambiente: Vito Mistretta, Claudio Cantalicio, Filippo Piazza, Pasquale Catalogna ed altri. Tutti della cosca dei Cannata. La rispetteranno di più, si fideranno ciecamente perché una Atria. Come disse lei stessa durante un interrogatorio un nome una garanzia.
Il primo amore? Calogero Cascio detto Gero. Un picciotto del giro, ben inserito nel contesto mafioso.
Addetto per conto della cosca alle estorsioni. Un ragazzo in carriera si potrebbe dire.
MIO PADRE?
AMATO E RISPETTATO DA TUTTI
Rita era figlia di un piccolo boss di quartiere facente capo agli Accardo (Cannata). E’ nata e cresciuta a Partanna, piccolo comune del Belice, una vasta zona divenuta famosa perché distrutta dal terremoto. Un paese in cui, in quel periodo, si dice circolasse denaro proveniente dal narcotraffico.
Suo padre, don Vito Atria, ufficialmente pastore, allevatore di pecore, era un uomo di rispetto che si occupava di qualsiasi problema; per tutti trovava soluzioni; fra tutti, metteva pace, “…per questioni di principio e di prestigio - sosteneva Rita - senza ricavarne particolari vantaggi economici…” Una visione un po’ troppo romantica, frutto di una mitizzazione del contesto famigliare. Un romanticismo che non le impedisce di descrivere con freddezza un mondo – il suo mondo - di cui non sopporta le brutture, le vigliaccherie: un nitido quadro della mafia partannese. Racconta delle contrapposizioni delle famiglie Petralia, Ingoglia e Ragolia a quelle degli Accardo (detti Cannata dal cognome della madre che dal giorno in cui il marito è venuto a mancare ne ha ereditato il bastone). Con coraggio farà i nomi di quelli che in paese comandano e fanno affari. Tutte cose che aveva osservato, ascoltato, carpito, in casa sua, durante il pranzo o la cena. Le visite degli amici e delle tante persone che cercavano suo padre “ don Vito” per risolvere un problema.
Partanna era un paese di pastori.
Qualcuno negli anni ottanta decise diversamente. Pian piano i pecorai si trasformarono in abili trafficanti di droga.
“… siccome gli Accardo avevano imposto il traffico di droga e in ordine a tale attività avevano sconfitto l’opposizione degli Ingoglia e delle famiglie legate a questi ultimi, questo commercio doveva essere fatto da tutti, compreso gli Ingoglia…” dirà nell’interrogatorio datato 11 novembre 1991, Rita. I regolamenti di conto, le vendette, erano altro, gli affari sopra a qualsiasi cosa, avevano la precedenza assoluta e assorbivano tutti vinti e vincitori.
Cose verificate, coincidenti, arricchite, da altri collaboratori del calibro di Francesco Marino Mannoia, Rosario Spatola,Vincenzo Calcara.
Boss, piccolo, pericoloso e smargiasso Il 18 novembre dell'85, don Vito Atria, non avendo capito che il tempo è cambiato, e che la droga impone un cambio generazionale, viene ucciso. Rita innanzi a quel cadavere crivellato di colpi, fra gli urli e gli impegni di rappresaglia dei famigliari, anche se appena dodicenne, dentro di sé, comincia ad rimuginare vendetta. Ma la morte del padre le lascia un vuoto immenso. Riversa allora tutto il suo affetto e la sua devozione sul fratello Nicola.
Nicola Atria era un "pesce piccolo" che col giro della droga,aveva fatto i soldi ma non aveva conquistato ancora il “potere”.
Comandavano gli Accardo (Cannata). Forse anche su di lui che apparteneva ad altra famiglia.
Girava sempre armato e con una grossa moto. Quello fra Rita e suo fratello diventa un rapporto molto intenso, fatto di tenerezza, amicizia, complicità, confidenze.
E' Nicola, infatti, che le dice delle persone coinvolte nell'omicidio del padre, del movente; chi comanda in paese, le gerarchie, cosa si muove, chi tira le fila…
Trasformando così una ragazzina che avrebbe dovuto giocare con le bambole, in custode di segreti più grandi di lei.
Tutto ciò non le impedisce di innamorarsi e fidanzarsi con Calogero (Gero) Cascio, un giovane del suo paese, impegnato nella raccolta del pizzo. Un estorsore per essere chiari. Un picciotto con grandi possibilità, una bella frequentazione! Anche lui, infatti, faceva parte della consorteria. Uno dei tanti giovani armati al soldo della cosca Cannata che, “ usa avvalersi per i suoi loschi traffici di un’ampia manovalanza giovanile armata e disposta a tutto”.
Inutile dire che si trafficava anche in armi.
Da Calogero Rita apprende moltissimo, inoltre, grazie al rapporto con lui, tutti gli altri si fidano ancora di più. In presenza di Rita si può parlare o spacciare.
Nessuno pensa di nascondersi Fino al 24 giugno del 91, il giorno in cui anche suo fratello Nicola viene ucciso e sua cognata Piera Aiello che da sempre aveva contestato a quel marito le frequentazioni e i suoi affari, collabora con la giustizia.
Era l’estate del 1991, sua cognata Piera in località segreta da qualche mese.
Gero, il suo fidanzato l’aveva rinnegata, interrotto il fidanzamento con Rita perché cognata di una pentita. Con la
madre Giovanna Cannova, donna di mafia, non si sono mai
comprese, le univa il padre. Rita è veramente sola. Non sa con chi scambiare due parole. Il suo cuore addoloratissimo guarda e pensa alla vendetta. Sì, vuole vendicare suo
padre e suo fratello, le uniche persone buone che le volevano bene, la capivano, la coccolavano. Non sa cosa fare. Sottomettersi come sua madre o ribellarsi?
Nella decisione non c’è il grande ideale, la lotta alla mafia…
Ha appena diciassette anni, le hanno ucciso il padre e il fratello.
Secondo lei persone speciali. Conosceva solo quel mondo.
Solo quel tipo di persone.
Ha tanto pensato, riflettuto… Non si è trattato di iniziativa inconsulta ma ragionata. Sofferte.
In solitudine. Fisica e morale.
Aria un po' timida, il cuore gonfio di dolore e di coraggio un giorno si ritrova nella stanza del procuratore Paolo Borsellino E parla, parla. Butta fuori quei discorsi fatti a tavola, frasi, bisbigli, nomi pronunciati a bassa voce dal padre o dal fratello.
Almeno dieci anni, di resoconti, vicende, strani incontri.
Minacce. Paure.
Relazioni perverse.
Uomini politici coinvolti in omicidi.
Era il cinque novembre del 1991 Rita, ad appena diciassette anni, cominciava a denunciare il sistema mafioso di Partanna e vendicare così l'assassinio del padre e del fratello. Il giudice Paolo Borsellino è un uomo buono che per lei sarà come un padre, la proteggerà e la sosterrà nella ricerca di giustizia; tenterà qualche approccio per farla riappacificare con la madre.
Oltre Borsellino Alessandra Camassa della procura di Marsala
e Morena Plazzi della procura di Sciacca. La ragazzina inizia così una vita clandestina a Roma.
Sotto falso nome, per mesi e mesi oltre Piera e la piccola Vita Maria non vedrà nessuno, e soprattutto non vedrà mai più sua madre. Si innamorerà, studierà, sarà interrogata dai magistrati.
Fra tutte le cose che Rita racconta durante gli interrogatori c’è anche il movente dell’uccisione di un politico democristiano di Partanna. Stefano Nastasi, vicesindaco di Vincenzo Culicchia.
“ … l’omicidio fu voluto da Vincenzo Culicchia che temendo di perdere la poltrona di sindaco insidiata da Stefanino Nastasi ed al contempo temendo che il successore in tale carica scoprisse tutti gli ammanchi e gli intrallazzi dal Culicchia perpetrati in particolare nell’ambito degli stanziamenti per la ricostruzione dopo il terremoto, decretò la morte del predetto Nastasi” Rita è diretta, non ci gira attorno. Non usa mezzi termini.
Stefano Nastasi, racconta Rita, godeva di una buona popolarità che si era guadagnata anche gestendo il dopo sisma al posto di Culicchia; era stimato per le sue idee e per la sua caparbietà irremovibile di voler conoscere e vedere chiaro nella gestione dei fondi stanziati per la ricostruzione e sicuramente avrebbe scalzato il vecchio re di Partanna. Secondo Rita fu minacciato e consigliato a desistere nella candidatura delle amministrative del 1983. “Ciò lo so per certo perché fu proprio mio padre, contattato dagli Accardo, ad invitare il Nastasi a mettersi da parte…” Nulla. Per ripetute volte.
La moglie era preoccupata e spesso andava a trovare la famiglia Atria. Mai il contrario.
Solo una volta ” …una sera mio padre, mia madre ed io con loro andammo a casa di Stefano Nastasi sempre nel medesimo intento, sottolineo che la presenza mia e di mia madre si rese necessaria proprio per non fare preoccupare eccessivamente la moglie di Nastasi rispetto a quella imprevista visita di mio padre; il quale doveva sostanzialmente comunicare al Nastasi una intimidazione proveniente dagli Accardo e dal Culicchia. Tutte queste cose mi furono riferite ed assimilate nel tempo sia da mio padre che da mia madre la quale spesso tornò su questi argomenti con la moglie di Stefanino Nastasi dopo l’uccisione del di lei marito… Mio padre infatti apprese successivamente dalla moglie del Nastasi che Stefano il giorno dell’omicidio aveva ricevuto una telefonata da una persona che gli aveva chiesto un incontro in quanto doveva portargli le prove degli intrallazzi del Culicchia…” C’è dell’altro, la signora Nastasi, dopo l’assassinio del marito cercava don Vito Atria affinché la aiutasse nella vendetta, cosa che il padre di Rita non poté fare perché consociato con gli Accardo-Cannata, i quali quando lo scoprirono gli imposero di minacciare la donna. Fatto.
Successivamente sarà assunta al comune.
Povera Rita, chissà se mentre raccontava queste cose pensava ancora che suo padre fosse un uomo buono che metteva pace. Il fratello Nicola era ancora il suo eroe? Chissà cosa le è passato per la testa e nel cuore, quale dolore e quale delusione man mano che prendeva coscienza della situazione. Del mondo in cui era cresciuta. Quel mondo famigliare da cui si sentiva protetta e coccolata. Ecco perché man mano che i giorni passano il suo rapporto con Borsellino diventa più profondo. Speciale. Quel giudice che la chiama picciridda è l’unico conforto. L’unica speranza. Deve raccontargli tutto, metterlo al corrente, ma arriva l'estate del '92 e ammazzano Borsellino, Rita non ce la fa ad andare avanti. Una settimana dopo si uccide.
Un suicidio che non sarà inutile, perché tutte le sue rivelazioni sono state messe agli atti del processo.
“Fimmina lingua longa e amica degli sbirri” disse qualcuno intenzionalmente, e così al suo funerale, di tutto il paese, non andò nessuno. Non andò neppure sua madre, che, disamorata, fredda e distaccata, l'aveva ripudiata e minacciata di morte perché quella figlia così poco allineata, per niente assoggettata, le procurava stizza e preoccupazione. Inoltre, sia a lei che a quella poco di buono di sua nuora, Piera Aiello, che la picciridda aveva imitato non perdonava di aver "tradito" l'onore della famiglia. Si recherà al cimitero parecchi mesi più tardi, e con un martello, dopo aver spaccato il marmo tombale, rompe pure la fotografia della figlia, una foto di Rita appena adolescente. Messa da altre persone, tante donne venute da fuori.
Le confessioni di Rita hanno convinto i magistrati, a chiedere
un’autorizzazione a procedere (poi concessa) per omicidio e
associazione mafiosa contro Vincenzo Culicchia, deputato DC
e per quasi 30 anni sindaco di Partanna. La richiesta della
procura di Marsala, dopo accertamenti condotti dai sostituti
Camassa e Russo, e' stata avanzata direttamente al ministero della Giustizia scavalcando la procura generale, cosa che avviene raramente e solo per motivi di urgenza.
La Relazione della Giunta per le Autorizzazioni a Procedere l’11 maggio del 1992, viene trasmessa al Ministro Martelli e il 15 giugno 1992 presentata alla Presidenza.
La Camera concede ai giudici l'autorizzazione a procedere.
L’accusa sostiene e indaga su “Enzo” Culicchia come mandante dell'omicidio di Stefano Nastasi quel giovanotto di Partanna che alle "comunali" del 1983 aveva preso più voti di lui rischiando di soffiargli la poltrona di sindaco.
Da quell’accusa sarà assolto alla fine '97.
I Tribunali lo hanno assolto. Le decisioni dei tribunali vanno rispettate. Bisogna prenderne atto, ma, il giudizio politico, critico e morale è altra cosa.
Non ha bisogno di tribunali né di sentenze.
L'onorevole Culicchia oggi ottantenne ancora sulla cresta dell’onda è stato assolto. Sul tavolo rimangono i suoi rapporti di amicizia, le sue frequentazioni e gli affari.
Rimangono le sue ramificazioni.
Un filo sottile che chi non conosce la storia passata non riesce a vedere, un filo che porta gli allora giovani, seguaci o simpatizzanti, oggi sindaci presidenti, assessori… amici.
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