Nadia Furnari

Nel nome di una ragazza come tutte noi”

“Nell'antimafia bisogna avere piccoli obiettivi, perché i grandi obiettivi ti fanno cadere in depressione invece se conti le gocce pensi che ogni goccia sia importante…". Nadia Furnari è "un fresco profumo di libertà". Solare, briosa, risoluta. Ardita. Una donna del sud che non si arrende. Una donna del sud che ha conosciuto il sud, la Sicilia e la sua sicilianità, al nord, mentre frequentava l'università di Pisa.

Nadia è la presidene dell'associazione antimafiosa Rita Atria (non lo è più dal 25 luglio 2008 - per scelta perché è giusto passare il testimone, ndr), "questa ragazzina di 17 anni che aveva denunciato comunque la mafia ed aveva messo in discussione la sua famiglia, - ci spiega prima ancora che qualcuno le possa chiedere come mai proprio Rita Atria - che si era ritrovata a pensare che suo papà prima era un eroe e poi un delinquente, un boss, è una figura forte, ancora più forte - aggiunge - perché non istituzionale... perché non dedicarle una associazione antimafiosa?".Ci racconta che viene a sapere di Rita attraverso il telegiornale, una settimana dopo il suo suicidio. "E' una storia che mi entra dentro…".
L'anno successivo si recherà a  Partanna assieme ad altre donne, per osservare, per conoscere. “Il 19 luglio - il giorno dell'omicidio del giudice Paolo Borsellino - quel giorno tornavo da un'iniziativa con mia madre quando sento dire dell'omicidio di Paolo; chiamo dei miei amici che stavano scendendo da Pisa a Palermo mi unisco a loro e la sera stessa dell'assassinio arrivo in via D'Amelio. Impossibile dimenticare le chiazze di sangue, nere dall'esplosione. Subito dopo Rita Atria, poi l'impegno a Pisa e la voglia di stare sempre con i perdenti… Lo preferisco".
Nadia è un fiume in piena, parla con molto trasporto e la cosa che colpisce è il fatto che inizia a parlare di sé e subito, la si ritrova a parlare di altro, o meglio di altri, descrive altri avvenimenti per raccontare se stessa: "La mia storia in qualche modo fa parte di storie di altre persone".
Perché la sua vita come dice lei è un miscuglio di tutte le storie dalle quali è stata colpita e che lei ha fatto proprie; le ha cercate, per capire i protagonisti, "storie di altre persone che ho voluto mettere in contatto: Mario Ciancarella si conosce con Piera (Aiello), Piera siconosce con nonno Nino (Caponnetto), nonno Nino con Rita, con Luigi (Ciotti), con Margherita Asta, era giusto che si conoscessero perché insieme sono proprio una bella carica umana, per cui poi, di fatto fare l'antimafia in questi termini e con questa gente, fai del bene a te stessa". Ci spiega.
Sandro Marcucci testimone nel processo per la strage di Ustica, prima di essere ammazzato le disse che "…con la nostra storia e con il nostro impegno e non con le parole e i nostri principi bisogna avvicinarsi agli altri". Ne ha fatto un credo che non ha bisogno di altri supporti anche se Nadia ci tiene a sottolineare che il vero supporto del suo quotidiano e delle sue scelte è sua madre. "Mia madre è il pezzo forte della mia vita”. “Io rimango orfana a dodici anni, mia madre non cede a nessun compromesso, si rimbocca le maniche e gestisce solamente lei la famiglia.
Finanzia con tanta difficoltà, anche le mie scelte, il mio voler sapere. Lei, a Milano, aveva fatto le lotte operaie.
Figlia di contadini, giunta a Milano si era ritrovata nel mezzo delle contestazioni.
È proprio lei il mio grande supporto".

Progetti? "Io mi occupo di informatica, sono una appassionata di informatica, mi piace il mio lavoro e voglio continuare a farlo. Non ho ambizioni di
nessun tipo tranne che quelle di poter fare le cose che mi piacciono, tra queste il mio lavoro. Questo mi permette di vivere con i piedi per terra di non cercare chissà quali posizioni".
Intanto, il 22 luglio prossimo tutti a Milazzo "Qualcuno mi ha chiesto se stavo facendo il raduno dei perdenti, forse, sono degli amici, delle belle persone, mi piacerebbe che gli altri, che altra gente avesse il piacere di conoscerle.
Abbiamo trasformato una cosa drammatica in una festa". E non sarà una festa da dimenticare tanto presto.

(Luglio 2006 n. 3 Casablanca) 

IN THE NAME OF A GIRL LIKE US

“In the anti-mafia you need to have small purposes, because big aims will make you become depressed, whereas if you count every single drop, you will think that each drop is important.” Nadia Furnari is “a fresh fragrance of freedom”. Sunny, lively, tenacious, daring.  A woman from the South of Italy who has never given in. A woman from the South who has really known the South, Sicily and the Sicilian essence, while she was studying at the University of Pisa, in the north of Italy.

Nadia is the founder of the anti-mafia association named Rita Atria (of which she was the president until the 25th July 2008- as she decided that it was time to pass on the torch), “this 17 years old girl denounced the mafia  and challenged her family-  Nadia explains before we could ask her the reason why she decided to give her association the name of Rita Atria- and realized that before her father was a hero and then a criminal, a boss; she represents a strong figure, much stronger because she didn’t belong to any public institution. So, why shouldn’t we dedicate an anti-mafia association to her?” Nadia recounts that she had heard of Rita thanks to a newscast, a week after Rita’s suicide. “It was a story that struck me...”

In the following year Nadia would go to Partanna together with other women in order to fathom in depth. “On the 19th July – the day when the judge Paolo Borsellino was killed- on that day I was returning from an initiative with my mother, when I heard about Paolo Borsellino’s murder. I phoned some friends of mine who were going to Palermo from Pisa, I joined them and on the same day of Via D’Amelio bombing I reached Palermo. It’s impossible to forget the big bloodstains, black because of the explosion. Right after it, I found out Rita Atria and then my commitment in Pisa started as well as the will of standing with losers... I prefer it.”

Nadia is on fire, she talks passionately and what impressed us was the fact that she begins speaking about herself and soon she speaks about something else or better about someone else, she describes other events in order to tell about herself: “My story is somehow part of other people’s  stories.”

That’s because her life is –as she says – a combination of every story by which she had been stricken  and which she embraced; she looked for that stories to understand their characters, “other people’s stories that I wanted to connect: Mario Ciancarella knows Piera Aiello, Piera knows Caponnetto who knew Rita Atria, Luigi Ciotti, Margherita Asta; it was right that they knew each other, as together they are a beautiful human charge; hence, in this way and with these people, your anti-mafia commitment turns into something good for yourself”, she explains.

Sandro Marcucci, a witness in the trial for the Ustica Massacre, before being killed, told her “it is with our story and our dedication, and not with words and principles, that we have to approach other people”. This has become Nadia’s creed: Nadia doesn’t need any support from the others, even if she underlines that her biggest support for her decisions comes from her mother. “My mother is the strongest and the most important person of my life”. “I became orphan at 12, my mother has never settled for a compromise, she rolled up her sleeves and brought up her family alone. She financed with a great deal of effort my choices, my willingness to know. In Milan she took part in the workers’ struggle. She was a farmers’ daughter and in Milan she found herself involved in those protests. She is my greatest support.”

Plans? “I deal with computer science. I’m very keen on computer science, I like my job and I want to keep on doing it. I have no ambitions but doing the things I love, including my job. It allows me to be down to earth, not to seek any particular position”

Graziella Proto, July 2006 – Casablanca n.3

Translated by Lucia D’Asta

TESTIMONIANZA DI NADIA FURNARI - DAL LIBRO "I RAGAZZI DI PAOLO"

Ho esitato a lungo prima di iniziare a scrivere il mio tassello di un puzzle infinito di storie che mai nessuno riuscirà a finire,… che mai nessuno riuscirà a distruggere perché inciso nella pelle di ciascuno di noi. Ho esitato perché mi sento come un velocista che ha appena tagliato uno dei tanti traguardi di una delle tante gare; cioè i pensieri corrono, i sentimenti sono troppo intensi, ma le parole sono tagliate, soffocate dalla fatica. Una fatica che appartiene nella stessa misura a chi vince e a chi, pur non arrivando primo, non si sente vinto.
Inizio a scrivere, dunque, sperando che lo scorrere delle parole sulla tastiera mi aiutino a trovare delle riserve di fiato aspettando che quelle ordinarie riprendano a fluire regolarmente.
Tante volte ho pensato di non aver più fiato per andare avanti di pensare: “per chi corro?”, “per cosa corro?” solo per farmi colpire da un avversario scorretto, infido, vigliacco che usa il suo potere per annullarti, per “vincere”?
La risposta è sempre la stessa: I Care… e ripartire, ogni volta, diviene un obbligo morale verso se stessi e verso tutti quegli Amici che “lasciandoci” ci hanno consegnato fiumi di amore e di strumenti per non arrenderci e per trovare nella forza della Verità e della Giustizia quell’energia che qualcuno potrà tentare, invano, di assorbire… invano perché si rigenera attraverso le idee, attraverso quei valori sconosciuti ai mafiosi e al potere.
Ho respirato aria di resistenza fin da quando ero bambina, mia madre faceva parte di quel gruppo di “poveri pazzi” che nelle fabbriche milanesi, negli anni 70, lottava per i propri diritti. Mia madre, donna del Sud.
E’ stato facile per me respirare aria di Libertà, è stato facile credere nei miei diritti e lottare affinché essi venissero rispettati… è stato difficile, per me, essere fedele a tutti i miei doveri.
Ed è proprio sui doveri che si gioca buona parte della gara di una persona perché i doveri richiamano al rispetto delle regole e richiamano ad un continuo mettersi in discussione.
Il rispetto delle regole impone un duro allenamento perché altrimenti nessun diritto potrà essere rivendicato, e, gli allenamenti, prevedono dei prezzi la cui entità dipende dai tuoi sforzi, dal livello di gara che si vuole affrontare. Che importa se qualcuno ha scelto di partecipare ad una gara più importante della nostra, si tratta di scelte personali, ciò che importa è che se si decide di partecipare ad una gara allora bisogna allenarsi seriamente perché non ci si può presentare ai blocchi di partenza con i muscoli flaccidi, senza fiato e senza quella passione nel cuore che integra inspiegabilmente le forze fisiche dandoti una spinta in più.
Prima dell’ottobre del 1991 il mio impegno civile si era limitato alle rivendicazioni scolastiche partecipando e organizzando cortei studenteschi…alcune rivendicazioni erano anche giuste altre, onestamente, solo sollecitate dal sole primaverile della Sicilia e dal mare di Milazzo – la mia città… nell’ottobre 91, dicevo, decido di partecipare ad una gara più importante sollecitata da un clima universitario, quale quello pisano, pieno di fermenti culturali e politici.
Lungo il mio percorso incontro due uomini straordinari Mario e Sandro, due amici che hanno condizionato pesantemente il mio cammino. Mario è un ex Capitano dell’Aeronautica Militare, Sandro era un ex Tenente Colonnello della stesso corpo. Mario è un ex… Sandro era un ex perché lo hanno ucciso il 2 febbraio del 1992.
Qualcuno, certamente, mi contesterà che Sandro è morto per un incidente… potrà solo dirlo a se stesso ma non alla Giustizia e, soprattutto, alla Verità.
Sandro appartiene a quella schiera di vittime della strage di Ustica che da testimoni si sono aggiunti alle 81 del 27 giugno 1980.
Una settimana prima di morire Sandro durante un incontro tra amici si rivolse ad un sacerdote dicendogli: <<Padre, vorrei dire a questi ragazzi, che il cammino sarà difficile e che più si prendono le “botte” e più si trova la forza per rialzarsi perché il dolore si trasformerà in energia>> e proseguiva:<< Padre, vorrei dire anche a questi ragazzi, che con le nostre storie e con il nostro impegno e non con le parole e i principi dobbiamo avvicinarci agli altri>>.
Il funerale di Sandro è stato il primo segno tangibile dell’arroganza del potere: quell’aeronautica che lo aveva incarcerato, che lo aveva costretto a lasciare quelle forze armate che Sandro voleva democratizzare, quell’aeronautica che lo aveva osteggiato e attaccato fino a poche ore dalla sua morte … aveva posto sul feretro una bandiera italiana e lo aveva circondato con un ipocrita picchetto d’onore.
Ho provato tanta rabbia, quella rabbia che acceca la coscienza e la ragione.
Mario, il grande amico e fratello di Sandro, nel suo lacerante dolore è stato il mio primo maestro di dignità. Non avevo mai visto una dignità e una gestione dei conflitti della mente e del cuore così piena di razionalità, di amore. Nonostante tutto.
Ma il 92 è un anno tremendo. Il 23 maggio la strage di Capaci. Conosco nonno Nino proprio all’indomani dei funerali di Giovanni, Francesca, Rocco, Vito, Antonio. Un Uomo ferito ma non abbattuto… quanta dignità nel suo dolore. Nonno Nino, un altro grande Maestro che ha condizionato la mia vita e che continua a trasmettermi in quelle poche parole - che per lo più ci scambiamo al telefono - un’energia che solo il cuore può tradurre.
Nella mia mente di giovane studentessa riecheggiavano troppo forte le parole di Sandro <<le nostre storie per avvicinarci agli altri>> quindi ho iniziato a nutrirmi di storie e ad essere strumento per farle raccontare a donne come le madri di Plaza De Majo, come Michela Buscemi, come Giuseppina la Torre. Donne di un Sud che non si arrende.
A Pisa ho conosciuto la mia Terra, la Sicilia. Una Terra che avevo sentito amica perché mi aveva accolto splendidamente quando da Milano mi sono trasferita a Milazzo.
Nei libri di Pippo Fava ho incontrato la mia sicilianità: amore e odio, vita e morte. Opposti che nonostante le leggi geometriche riescono ad incontrarsi.
Arriva anche il 19 luglio. Parto con degli amici subito per Palermo. Voglio vedere. Voglio vedere per non dimenticare.
Dopo solo una settimana, il 26 luglio, anche Rita Atria seguirà lo zio Paolo, Emanuela, Walter, Vincenzo, Agostino e Claudio.
Date scolpite nella memoria. Storie che scrivo nel libro della mia vita e che nei momenti peggiori rileggo per non dimenticare. Rileggo affinché la memoria non venga consegnata alla retorica ma sia ancora propulsore per azioni.
“Non li avete uccisi, le Loro idee cammineranno sulle nostre gambe”.
Nel 1994 decido che è giunta l’ora di far camminare quelle idee anche sulle mie gambe, così fondo, insieme ad un gruppo di amici milazzesi, l’Associazione Antimafia “Rita Atria”.
Abbiamo dedicato a Rita, figlia di don Vito Atria boss mafioso di Partanna ucciso negli anni 80 e sorella di Nicola Atria ucciso in un regolamento di conti nel 1991, un’associazione antimafia proprio per sottolineare come sia più difficile e più coraggioso ribellarsi dal di dentro alle leggi sanguinarie della mafia.
Ma, nonostante tutto, per molti benpensanti Rita era una peccatrice perché si era suicidata, poco importa se il suo gesto estremo è stato frutto di quelle leggi di amore e odio, di vita e morte, di solitudine che sono insite in molti siciliani. Grazie a Piera Aiello ho iniziato un percorso in un mondo che mi faceva paura, che fino ad allora avevo solo giudicato. Male, ovviamente. Sono andata a Partanna di Trapani per cercare Rita nel suo Paese e per parlare con la gente, con i ragazzi delle scuole, per dire loro che Rita e Piera tenevano e tengono alto il nome del loro Paese. Ho chiesto scusa alla gente onesta di Partanna per averli giudicati, per non aver messo in conto che la paura, nella vita, è un motivo più che sufficiente per cadere nella tentazione di tirarsi indietro. Ho chiesto scusa a tutti coloro che avevo definito dei vigliacchi per non avere avuto il coraggio di andare avanti. Ma come avrebbero potuto farlo se erano da soli, significava chiedere loro di morire con fierezza… francamente un prezzo troppo alto che solo qualcuno è disposto a pagare ma che non si può chiedere come normale sacrificio.
A chi mi ricordava che nei miei momenti di paura non ho mollato ricordo loro, a mia volta, che io non sono mai stata sola nei miei momenti difficili e che ho avuto ed ho attorno a me tutti quegli “Ragazzi” di Paolo, di Sandro, di Rita, di Giovanni, e di tanti Altri che hanno fatto e fanno da scudo.
La solitudine. Ecco la paura più grande di chi vuole ribellarsi alle arroganze del potere, alla vigliaccheria delle mafie, alle infinite intimidazioni quotidiane – anche quelle apparentemente banali.

Non so se ho rispettato i contenuti su cui mi era stato chiesto di scrivere, mi scuso se non l’ho fatto, ma ho voluto raccontare brevi brandelli della mia storia per evidenziare che la lotta alle mafie, che le lotte per i diritti, vivono grazie alla indispensabile energia dell’unione, dello stare insieme, e che non basta crederci ma bisogna avere la voglia del sano confronto, la voglia di voler essere amici, la consapevolezza che un cammino lungo e difficile come quello della lotta alle mafie non si può percorre da soli,… perché la solitudine porta alla rassegnazione e la rassegnazione costringe molti nostri compagni di viaggio a rinchiudersi nella propria solitudine, nella propria sfiducia vivendo tra sconforto e frustrazione senza riuscire più a trovare l’energia per dire I Care.

 

Anno 2000 - Nadia Furnari

NADIA FURNARI’S WITNESS – FROM THE BOOK “I RAGAZZI DI PAOLO” (PAOLO’S GUYS)

…the year was 2000…

“I’ve hesitated a lot, before starting to write my piece of the infinite puzzle of stories that no one will ever complete... that no one will ever manage to destroy because it has affected all of us. I have hesitated because I feel like a sprinter that has crossed one of the several finish lines in one of the many races. I mean, my thoughts rush, my emotions are too intense, but words have been cut, they’ve been choked by the strain.  It’s an effort that belongs to the ones who win and to the ones who, despite not having come in first, don’t feel like they have been defeated.

Therefore, I begin writing with the hope that the flow of my words on the keyboard will help me to find some supplies of wind, waiting for the ability to breathe normally again.

So many times I’ve thought that I was losing my breath to carry on asking myself “Who am I running for? For what? Is it only for making me hit by an unfair, treacherous and coward enemy who uses his power to prevail over you?” 

The answer is always the same: “I care”...and to start again, every time, becomes a moral duty towards myself and those Friends who, passing out, gave us a lot of love and instruments in order to never give up and to find in the strength of Truth and Justice the energy that someone will try to absorb in vain; in vain because it regenerates itself through ideas and values, unknown to the mafia.

I’ve breathed air of resistance ever since I was a child, my mother belonged to that group of poor nuts who in the ‘70s fought for their rights in factories in Milan. My mother, a woman from the South of Italy.

It has been easy for me to breathe air of freedom, it has been easy to believe in my rights and to fight, so that they could be respected... it has been hard for me to be faithful to all my duties.

It’s exactly on duties that the greatest part of the race is played because duties are linked to compliance with the rules and imply that you question yourself continuously.

Respect for the rules imposes a strenuous training, because otherwise no right could be claimed and working out requires a price whose size depends on your efforts, on the level of the race you want to face. Who cares if someone has chosen to take part to a race which is more important than ours, it’s about personal choices, what matters is that if you decide to participate in a race, then you’ll need to work out seriously because you can’t race with weak muscles, breathless and without the passion that integrates your physical strength and that gives you an extra boost.

Before October 1991, my civic stance was limited to school claims, taking part and organising student parades, some of which were fair, other ones, honestly, were inspired by the spring sun of Sicily and by the sea of Milazzo- my town. In October 1991 I decided to take part in a much more important race, encouraged by the atmosphere of the University of Pisa, full of cultural and political ferments.

Along my path I’ve met two extraordinary men: Mario and Sandro, two friends who influenced heavily my path. Mario is a former captain of the Air Force, Sandro was a former lieutenant colonel of the Air Force. Mario is a former, Sandro was a former because he was killed on the 2nd of February 1992.

Someone will surely contest that Sandro died because of an accident, well, he might say it to me but no to Justice and Truth.

Sandro belongs to those several victims of the Ustica massacre, who were witnesses we must add to the list of the 81 victims who died on the 27th June 1980.

One week before he died, during a get-together with his friends, Sandro spoke to a priest stating: “Father, I’d like to tell these guys that the path will be difficult and that the more you get beaten, the more you try to get up again, because your pain will turn into energy” and he continued: “Father, I’d also like to tell these guys that it is with our stories and our commitment and not with words and principles that we have to approach other people.”

Sandro’s funeral was the first tangible sign of the arrogance of the power: the Air force who had imprisoned him, who had obliged him to quit his job in the Military Force, which Sandro wanted to democratise, who had opposed him and attacked him until some hours before he died... the same Air force put the Italian flag on his coffin and surrounded it with a hypocritical honour picket.

I was so angry that my rage blurred my reason and my awareness.

Mario who was a Sandro’s great friend and he was the first master of dignity in his lacerating grief. I had never seen such dignity and capacity of handling conflicts of mind and of heart, with all these rationality and love.

But the 1992 was a terrible year. On the 23rd of May Capaci bombing occurred. I met grandfather Nino in the aftermath of the funeral of Giovanni, Francesca, Rocco, Vito, Antonio. A man who was bruised but not despondent... there was so much dignity in his pain. Grandpa Nino, another big master who had influenced my life and still keeps instilling in me such energy, which only my heart can grasp, with those few words that he told me, especially on the phone.

I was a young student and Sandro’s words echoed so powerfully in my mind: “our stories to approach other people”; so I started to feed myself with stories and to be an instrument to have them recounted to some women like Plaza De Majo’s mothers, like Michela Buscemi, Giuseppina La Torre. Women of the South of Italy who have never given up.

It was in Pisa that I knew my land: Sicily. A land that was a friend of mine because it hosted me splendidly when I moved from Milan to Milazzo.

In the book by Pippo Fava I met that part of me that belongs to Sicily: love and hate, life and death. Opposites that, despite the geometric laws, managed to meet each other.

Then the 19th of July came, too. I left to reach Palermo with some friends of mine. I wanted to see in order not to forget.

After a week, on the 26th of July, Rita Atria followed uncle Paolo, Emanuela, Walter, Vincenzo, Agostino e Claudio.

Dates which are etched on my memory. Stories that I write on the book of my life and that in the hardest moments I read again not to forget. I read again so that my memory won’t turn into rhetoric, but it will be an engine for actions.

“You did not kill them, their ideas will walk on our legs.”

In 1994 I decided that it was time to make those ideas walk on our legs, on mine too; so I founded with a group of friends from Milazzo the anti-mafia association “Rita Atria”.

We dedicated to Rita (the daughter of the boss don Vito Atria from Partanna, who was killed in the ‘80s , and the sister of Nicola Atria killed for a score settling in 1991) an association, as we believe that it’s much more difficult and braver to rebel against the mafia’s  bloodthirsty laws from the inside.

Nevertheless, for many people Rita was a sinner because she committed suicide, who cares if this extreme action was the consequence of those laws of love and hate, of life and death, of solitude, innate in many Sicilians. Thanks to Piera Aiello, I’ve started to follow a path in a world I was afraid of, that till then I had only misjudged. I went to Partanna di Trapani to know more about Rita in her town, to talk to people, to students, to tell them that Rita and Piera honoured their country and still they keep on doing that.

I apologised to the honest people from Partanna for having judged them, for not having taken into account that fear, in life, is more than enough to give in to the temptation of backing down. I apologised to those who I considered as cowards for not having the courage to go on. But how could they do it if they were alone? It would have meant to ask them to die proudly... honestly this is a too high price, that only someone is willing to pay, but that no one can request as an ordinary sacrifice.

I want to say to those who reminded me that when I was frightened, I have never given up, that I’ve never been alone in my darkest hours and I’ve always been surrounded by all those Paolo, Sandro, Rita, Giovanni and many others’ guys who have always shielded me.

Solitude. This is people’s biggest fear when they want to rebel against the arrogance of the power, against the mafia’s cowardice, against the daily endless intimidations- also those who seem to be trivial.

I don’t know if I have respected the contents I was asked to write about, I’m sorry if I didn’t, but I wanted to recount small shreds of my story to highlight the fact that the fight against the mafia, the fight for rights endures thanks to the indispensable energy that comes from the union, from being together and, moreover,  having faith isn’t enough, but it’s necessary to desire a fair debate, being friends and the awareness that such a long and hard road against the mafia can’t be walked alone... because loneliness brings to resignation and resignation forces many travel companions to withdraw into their solitude, into their own mistrust, to live with dejection and frustration, without being able to say “I care” anymore.

 

 

Translated by Lucia D’Asta

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